lunedì 18 settembre 2017

AVVOCATI, VINCERE E' L'UNICA COSA CHE CONTA. LA CASSAZIONE AVVERTE...

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Mi fa sorridere la sentenza della Cassazione che nega il compenso all'avvocato che non ha "diligentemente avvertito il cliente " del probabile esito sfavorevole della causa, dimostrando al contrario di averlo provato a dissuadere. 
Il principio in questione viene rafforzato dal logico corollario che l'onere della prova di un simile avvertimento spetta al professionista.
Nella mia carriera è avvenuta diverse volte questa cosa, e sono certo che molti colleghi lo abbiano fatto e lo facciano : "senta, lei ha torto, se insiste possiamo provare, ma personalmente la sconsiglio".
Per molti, chiariamoci, intendo una folta minoranza...
Comunque l'avvertimento sincero in genere non viene messo per iscritto, ci si "fida", e si fa male, specie di questi tempi dove, vedrete, saranno sempre di più le cause per non pagare il difensore, reo di non aver vinto.
Come i giocatori della Juventus, anche gli avvocati dovranno imparare alla svelta che vincere è "l'unica cosa che conta". 
Si si, certo, se uno ha svolto con coscienza il proprio lavoro, dovrebbe essere comunque remunerato, e questo la Cassazione, in teoria, non lo nega ( basta avvertire...). 
Ma vedrete come di, passetto passetto, si arriverà alla meta e basterà la sentenza sfavorevole a costituire un' ottima base per il cliente di non pagare. 
Potrebbe anche essere un'ottima soluzione per deflazionare i Tribunali, perché non possiamo nemmeno negare che troppi colleghi si avventurano pur di strappare un mandato che comunque porta quantomeno degli acconti (per il saldo, si vedrà).
Comunque, l'adagio per il quale "il cliente è il peggior nemico dell'avvocato" si va rafforzando, per cui meglio attrezzarsi con dichiarazioni sottoscritte ad inizio causa ( a volte mi è capitato di farlo, ma si trattava di clienti che non conoscevo o che non mi convincevano : meglio estendere la pratica). 
Del resto, col preventivo obbligatorio basterà aggiungere qualche riga.
Un'ultima cosa. Questa sentenza vale per l'avvocato "agente", che inizia una causa.
Come la mettiamo con la migliaia di cause dove il cliente viene da te solo per prendere tempo ?
Riceve un'atto di citazione o, peggio, un'ingiunzione, e sa perfettamente, prima di te, che ha torto.
Ma sa anche che se va in Tribunale guadagnerà comunque tempo.
Tanto. 
Perché la macchina non funziona e quindi, anche senza un avvocato particolarmente abile nel "cavillare" , i ritardi sono assicurati. 
In questo caso che si fa ? Mettiamo per iscritto che il cliente è consapevole dei fini meramente dilatori del processo ? 
La mia è una provocazione, ché una formula meno diretta la si trova.
Ma la sostanza resta quella.
Comunque, cari colleghi, AVVISATI.
Adesso aumentano le cause per non pagarci.
Dietro l'angolo ci sono quelle risarcitorie.

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Niente compenso all'avvocato che non sconsiglia il cliente da cause dal presumibile esito sfavorevole

Per la Cassazione incombe sul legale l'onere probatorio circa la diligenza professionale tenuta nello svolgimento dell'incarico
uomo che guarda salvadanaio prendere il volo
di Lucia Izzo - L'avocato deve adempiere con diligenza l'incarico professionale conferitogli dal cliente, obbligo in cui rientra anche il dovere di sollecitazione, dissuasione e informazione del cliente: a questi il legale dovrà rappresentare tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, che possono impedire il raggiungimento del risultato, o comunque produrre effetti dannosi e sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dal probabile esiti sfavorevole.

Lo ha precisato la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, nell'ordinanza n. 21173/2017 (qui sotto allegata) che ha rigettato il ricorso di un professionista confermando l'esito del giudizio di merito: l'avvocato, infatti, non aveva in tale sede assolto l'onere probatorio necessario a dimostrare la sua diligenza professionale.

Viene revocato il decreto ingiuntivo che l'avvocato aveva ottenuto per il pagamento di alcune prestazioni professionali giudiziarie svolte in favore del cliente: appaiono fondate, infatti, le eccezioni sollevate dal cliente/debitore in sede di opposizione, riguardanti la sussistenza della responsabilità professionale del legale che non lo aveva informato con diligenza circa la presenza di una causa di decadenza dall'azione che egli voleva promuovere per recuperare alcuni crediti di lavoro, decadenza poi effettivamente dichiarata dal giudice adito.

Per la Corte territoriale, nel giudizio di responsabilità l'onere probatorio circa la condotta diligente doveva essere assolto dal professionista, cosa che non era avvenuta nel caso in esame poiché il legale non aveva avanzato alcuna istanza istruttoria per dimostrare la corretta informazione data al cliente circa i rischi evidenti di reiezione delle sue domande.

In Cassazione, il legale sostiene che la sua condotta negligente, invece, sarebbe dovuta essere dimostrata dal debitore opponente/appellante, una doglianza che per i giudici di legittimità appare infondata.

L'avvocato deve provare di aver dissuaso il cliente dal giudizio con probabile esito sfavorevole

Il Collegio richiama il principio secondo cui, "nell'adempimento dell'incarico professionale conferitogli, l'obbligo di diligenza da osservare ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1176, secondo comma, e 2236 cod. civ. impone all'avvocato di assolvere, sia all'atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto, (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione e informazione del cliente".

In sostanza, l'avvocato è tenuto a rappresentare a quest'ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; a sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole.

A tal fine, conclude la Corte, incombe sul professionista l'onere di fornire la prova della condotta mantenuta e al riguardo appare insufficiente il rilascio, da parte del cliente, delle procure necessarie all'esercizio dello "jus postulandi", in quanto circostanza inidonea a deporre univocamente e obiettivamente per la compiuta informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l'assunzione da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sull'opportunità o meno d'iniziare un processo o intervenire in giudizio.

Poichè, nel caso in esame, la sentenza impugnata ha correttamente e puntualmente motivato circa il mancato assolvimento dell'onere probatorio da parte dell'avvocato, il ricorso va rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione.
Cass., VI civ., ord. n. 21173/2017 

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